Dopo la pandemia “ci sarà da costruire un mondo migliore…ma ci vuole coraggio” (Renzo Piano).

Le città, deserte all’esterno, hanno fatto emergere le criticità dell’interno delle abitazioni e l’incidenza, più o meno elevata e differenziata, che i luoghi dell’incontro e della cultura rivestono nel quotidiano degli abitanti.

La vita nel chiuso delle case evidenzia ancor di più la drammaticità delle differenze sociali.

Il mondo visto dalle finestre dei centri storici, dei quartieri residenziali dotati di verde e arredi urbani, degli appartamenti spaziosi e confortevoli, rende meno angoscioso l’isolamento.

L’Italia storica e artistica, i patrimoni culturali che miriadi di video, documentari, foto fanno scorrere dinanzi ai nostri occhi in questi giorni appaiono surreali, ma la bellezza tutt’altro che intaccata dal coronavirus, si manifesta in tutto il suo incantato splendore accentuando il nostro orgoglio di essere italiani.

Molto poco vengono mostrate le periferie, le baraccopoli che, rese ancora più desolate dalla mancanza della gente nelle strade, lasciano trasparire il degrado urbano in tutta la sua crudezza.

Il Comitato internazionale per la bioetica (IBC) dell’UNESCO e la Commissione mondiale sull’etica della conoscenza e della tecnologia scientifiche (COMEST) in una dichiarazione su COVID-19 richiamano l’attenzione sull’importanza di riconoscere la vulnerabilità delle persone in stato di povertà, di discriminazione, soggezione a violenza di genere, disabilità, razzismo, incarcerazione, migrazione: tutte vulnerabilità strettamente connesse alla città, agli spazi dell’abitare ed ai livelli di servizi collettivi forniti.

Per il dopo coronavirus appare ineludibile un forte ripensamento anche sull’architettura e sull’urbanistica, sulle dimensioni degli alloggi sociali, sulle attrezzature dei quartieri periferici, sulla  necessità di una bellezza generalizzata dei contesti urbani.

Ai maggiori disagi sociali strettamente correlati alle case entro cui i nuclei familiari convivono si dovrà rispondere con progettazione degli edifici, espansioni urbanistiche, distribuzione delle attrezzature collettive che abbiano sempre ben presente l’esperienza COVID-19, pensando alla città come luogo di civiltà in cui le diversità diventano ricchezza reciproca ed impegnandosi per realizzare il “diritto alla città” come “diritto umano”.

È possibile, e la storia dimostra che le città hanno resistito a pandemie e guerre, rimanendo sempre il fulcro della socialità!

Forse la “distanza sociale” comporterà modifiche di parametri, caratteri distributivi, organizzazione della mobilità e tipologia dei trasporti, esigerà l’adeguamento dimensionale di scuole e luoghi di lavoro e, di conseguenza, di abitudini e stili di vita.

L’attuale emergenza sanitaria può diventare stimolo per migliorare le città, valorizzando quella solidarietà sociale, quel senso di comunità che il dolore e l’isolamento hanno fatto emergere e che trovano proprio negli spazi urbani comuni lo scenario necessario per potersi esprimere.

Lo sviluppo sostenibile non può prescindere da città veramente sostenibili.

“La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura” (A. Einstein).

                                                                                         Teresa Gualtieri

Presidente del Comitato Scientifico delle Rete per la Parità.

 

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