La Corte costituzionale preannuncia l’incostituzionalità dell’intera disciplina sull’attribuzione del cognome

Il 13 gennaio 2021 è tornata in Camera di Consiglio all’esame della Corte costituzionale l’attribuzione del cognome.

L’Ufficio stampa della Corte ha comunicato che “il Consiglio ha deciso di sollevare davanti a se stesso la questione di costituzionalità del primo comma dell’art. 262 del Codice civile che stabilisce l’assegnazione del solo cognome paterno. Questione pregiudiziale rispetto a quella sollevata dal Tribunale di Bolzano.”

E’ un fatto rarissimo è importantissimo: di fronte all’inerzia del Legislatore che in quattro anni non ha ancora approvato la riforma organica del cognome, definita “indifferibile” nella precedente sentenza 286 del 2016, la Corte ha deciso di inviare un “ultimatum” al legislatore, per evitare il rischio che ancora per un tempo indefinito rimanga in vigore una regolamentazione del cognome palesemente incostituzionale. Questa volta non intende limitarsi a una parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale e a lanciare un nuovo pressante  monito al legislatore.  L’articolo 262 del Codice civile ancora non è coerente con i principi costituzionali (art.2, tutela dell’identità personale e art. 3, uguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso), nonostante che in  forza della sentenza del 2016 l’assegnazione del cognome paterno possa essere integrata con l’aggiunta del cognome della madre nel caso la richiedano entrambi i genitori. Né può diventarlo con una pronuncia riguardante l’ipotesi della richiesta di assegnazione del solo  cognome materno. In attesa  di  conoscere il contenuto della decisione Rosanna Oliva de Conciliis,  Presidente della  Rete per la Parità ha dichiarato:“ Che  la Corte sollevi la  questione davanti a se stessa è fatto rarissimo da un punto di vista procedurale e  importantissimo per le ricadute sull’ordinamento. Sicuramente subiranno importanti modifiche  l’articolo 262 cc  e le altre norme   che regolamentano l’assegnazione del cognome. Siamo a una svolta, e vogliamo ancora sperare che il risultato sia raggiunto con la riforma organica del cognome che da quattro anni la Rete per la Parità richiede con forza. Una riforma che allinei l’Italia alla maggior parte degli altri paesi disponendo il doppio cognome e lasciando la libertà di scelta ad altre ipotesi, nel rispetto della volontà della madre e del padre o per motivi obiettivi. Se, invece, il Legislatore continuerà a non agire, comunque una seconda sentenza della Corte colpirà e presumibilmente colpirà duro. Sarà finalmente spazzata via la lesione dei diritti all’identità e alla parità uomo-donna, tutelati da principi fondamentali della nostra Costituzione.

La Rete per la Parità, nei suoi dieci anni dalla fondazione si è posta la modifica dell’attribuzione del cognome tra i principali obiettivi e ha individuato nell’intervento della Corte la possibilità di un cambiamento, Alla soddisfazione si unisce, però, l’amarezza di dover constatare che, ancora una volta, come avvenne nel 1960 e in altre successive occasioni, dipende dal  Giudice delle leggi il cammino verso la parità formale e sostanziale e  la piena  cittadinanza delle donne. Sessant’anni non sono bastati, ancora prevale l’anacronistica mentalità patriarcale che colloca l’Italia negli ultimi posti delle classifiche dell’Unione Europea e internazionale.” Aggiunge l’avvocata Susanna Schivo, legale della coppia che ha promosso il giudizio deciso con la sentenza della Corte costituzionale n. 286/2016: “La situazione attuale è di grande confusione: le Istituzioni non possono offrire ai genitori risposte adeguate in termini di chiarezza ed uniformità di azione in un settore delicato come l’identificazione delle persone. Oggi le coppie risultano purtroppo ancora ostacolate, a causa della vigenza di un quadro normativo “claudicante”, sia nell’esercizio di una responsabilità genitoriale rispettosa del principio di parità sia nella scelta di donare ai figli ed alle figlie una identità priva di stereotipi di genere. Ritengo che la questione pregiudiziale sollevata dalla medesima Consulta sia un atto di coraggio e allo stesso tempo di “disperazione”, laddove traspare la consapevolezza di non essere ascoltata. Come Avvocata sono molto interessata alle possibili ricadute pratiche della futura pronuncia della Corte e come cittadina mi affido fiduciosa alla decisione di un Giudice delle leggi che si riconferma consapevole del proprio ruolo e sensibile alle molteplici istanze della Società sulle tematiche di genere.

Roma, 15 gennaio 2021

Ufficio stampa: Donatella Donato 3490808986

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