La Rete per la Parità, come ha dichiarato durante la Conferenza stampa del 7 febbraio presso la Camera dei deputati, organizzata da Le Contemporanee, condivide le preoccupazioni sorte a seguito dell’invio da parte del Governo al Parlamento dello schema del Nuovo Codice degli Appalti, dove è stato eliminato il cosiddetto “Bollino Rosa”, previsto dall’articolo 46 bis introdotto nel Codice delle Pari Opportunità dalla legge 79/2022.

Si tratta di una premialità alle aziende che riducano il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. C’è da considerare che l’ANAC nel novembre 2022 ha fornito indicazioni alle stazioni appaltanti per favorire l’attuazione di tale misura e ne ha sottolineato l’importanza anche perché in linea con i principi comunitari di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità.

Già da anni la Rete per la Parità, partendo dai positivi risultati ottenuti in altri Paesi, ha sostenuto l’introduzione: di tale misura anche in Italia: nel 2020 con la Fondazione Ecosistemi ha organizzato per il Festival ASviS dello sviluppo sostenibile l’evento “Parità di genere, responsabilità sociale d’impresa e acquisti pubblici” e nell’ambito del Festival dell’anno successivo l’evento “La certificazione di parità di genere nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: come inciderà sul mercato del lavoro e sugli acquisti pubblici?”.

Inoltre le misure introdotte con la Legge 162/2021 e il via libera alle Linee Guida per la previsione del gender procurement nei bandi di gara che riguardano i progetti finanziati dal PNRR, sono state segnalate come azioni innovative positive nel Rapporto ASviS 2022, nella sezione curata dal Gruppo di lavoro 5 “Parità di genere” di cui fanno parte anche le predette due associazioni.

Il Nuovo Codice degli appalti troverà operatività per tutti i nuovi procedimenti a decorrere dal 1° aprile del corrente anno, mentre dal 1° luglio successivo è prevista l’abrogazione del Codice precedente e l’applicazione delle nuove norme anche a tutti i procedimenti già in corso. Con il testo all’esame delle Camere il Governo intende sostituire l’obbligo con la facoltà nella previsione di meccanismi premiali per la parità di genere e le opportunità generazionali e ridurre l’entità delle cauzioni provvisorie, in caso di possesso della certificazione di parità di genere, dal 30% al 20%.

La Rete per la Parità denuncia che la mancata attenzione alla riduzione del gap sociale ed economico di genere disattenderebbe la parità di genere, uno degli obiettivi fondamentali del PNRR che, insieme con la parità territoriale e generazionale, è in linea con i tre “pilastri”, le priorità trasversali del Next Generation EU. Si verificherebbe una modifica rispetto a quanto previsto nell’art. 47 della legge 108/2021 sulla governance del PNRR.

Una misura comunicata a suo tempo all’UE e quindi non modificabile, come è stato evidenziato con il precedente caso della previsione del limite minimo di 30 euro per i pagamenti digitali, poi ritirata dal Governo.

No a passi indietro, il gap di genere nell’occupazione e nelle carriere è ancora un problema persistente in Italia, come ha confermato l’ultimo rapporto ISTAT, e non è accettabile una retromarcia per motivi infondati. Da alcune parti si sostiene che il “Bollino Rosa” complicherebbe le procedure, mentre è una possibilità e non un obbligo. Così come è privo di fondamento sostenere che penalizzerebbe alcune aziende, in quanto impossibilitate a utilizzarlo.

La Rete per la Parità condanna fermamente ogni modifica al ribasso e propone, per superare la problematica in alcuni settori, come quello edile privo quasi totalmente di personale femminile, l’inclusione delle donne attraverso la modifica dei criteri per l’assegnazione degli incarichi che penalizzano le donne delle professioni, quali avvocate, ingegnere, architette e commercialiste e nei contratti di lavoro per mansioni amministrative.

Dalla conferenza stampa in vari interventi è stata proposta l’istituzione di un tavolo tecnico con la partecipazione dell’ANAC, delle parti sociali e delle associazioni. Anche in questo ambito la Rete per la Parità proseguirà nell’impegno per una società che valorizzi il ruolo e le competenze delle donne e non sprechi risorse preziose per l’economia del Paese.

Italia, 8 febbraio 2023

Video conferenza stampa del 7 febbraio presso la Camera dei deputati

Le Contemporanee, ASviS, Rete per la Paritá, Fuori Quota, Base Italia, CGIL e UIL pari opportunitá e numerosi esponenti del mondo istituzionale da Elena Bonetti a Chiara Gribaudo, Lia Quartapelle e Debora Serracchiani, da Benedetto Della Vedova ad Antonio Nicita, da Susanna Camusso ad Alessandra Maiorino, unite\i per cambiare il nuovo codice degli appalti

Apprendiamo con stupore e con preoccupazione che nel nuovo testo per gli appalti sarebbe “sparito” il cosiddetto bollino rosa, ovvero un requisito aggiuntivo e premiale per le aziende che rispettino alcune regole già definite alla fine del 2021 con la Legge 162 che, nel modificare il Codice Pari Opportunità (DLgs 198/2006), aveva introdotto la Certificazione di Parità di Genere (art. 4 della L.162/2021 che introduce l’art. 46-bis nel Codice Pari Opportunità).

Il Decreto Dipartimento Pari Opportunità del 29 aprile 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 1 luglio 2022, dispone che i parametri minimi per il conseguimento della Certificazione della Parità di Genere di cui all’art. 46-bis del Codice pari opportunità sono quelli di cui alla Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, pubblicata il 16 marzo 2022, e che la Certificazione può essere rilasciata solo da Organismi di certificazione accreditati.

Nonostante i passi avanti fatti negli ultimi 2 anni su questo fronte, grazie anche al grande pressing profuso da numerose organizzazioni femminili e femministe, da giuriste, economiste, donne e uomini del mondo delle istituzioni, esperte ed esperti attente\i alla parita’ di genere, e consapevoli della enorme occasione rappresentata dal PNRR su cui siamo ripetutamente intervenute, oggi registriamo una battuta d’arresto importante e un goffo passo indietro.

Infatti nel nuovo schema di decreto legislativo recante Codice dei Contratti Pubblici (Atto n. 19) è stato ELIMINATO il riferimento alla Certificazione di Parità di Genere ai sensi art. 46-bis del DLgs 198/2006 quale requisito premiale dellofferta, in quanto unico strumento idoneo a certificare l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere da parte delle organizzazioni (già art. 95 comma 13 del D.Lgs 50/2016). Nè è accettabile trasferire un prezioso riferimento normativo specifico in un allegato: non è buona prassi, soprattutto se viene stravolto il contesto.

È così sbagliato chiedere alle imprese affidatarie di lavori pubblici di compiere passi in avanti verso un cammino comune e ben delineato dal Next Generation Eu?

Siamo consapevoli che il nostro Paese sul fronte dell’offerta delle aziende debba compiere ancora passi in avanti e che moltissime imprese italiane non siano in grado di soddisfare i requisiti richiesti dalla certificazione di parità di genere. 

È un percorso non semplice, ma decisivo. Siamo anche consapevoli che se la domanda pubblica chiede soglie minime cui le aziende non riescono ad adeguarsi rapidamente, pur di non rallentare iter del PNRR si possano invocare, come già previsto, clausole di urgenza per alleggerire a monte obblighi complessi da ottemperare in situazioni complesse. È già previsto nelle deroghe descritte nelle linee guida propedeutiche alla norma sulla certificazione, potrebbe essere applicato anche nel nuovo codice degli appalti. 

Vi è un’altra domanda cruciale che riguarda il nuovo codice degli appalti: perché livellare verso il basso la nuova normativa pubblica rendendo di fatto il richiamo alla certificazione un “dettaglio” marginale? Inoltre, nel testo le donne tornano ad essere definite e considerate soggetti “svantaggiati” da “includere” parimenti ad altre minoranze e categorie protette”: inaccettabile dal punto di vista delle donne!

Così si torna nuovamente alle “donne come varie ed eventuali” e non come maggioranza della popolazione, esclusa dal mercato del lavoro per assenza di politiche corrette e per un mercato poco equo sul fronte della concorrenza. 

Anche negli appalti pubblici il capitale umano femminile, sebbene presente ancora in quantità minore in settori come le costruzioni, l’energia, i trasporti, il digitale, e’ una risorsa imprescindibile per la crescita del Paese e per le sue imprese. 

Come già in occasione del manifesto di DONNE PER LA SALVEZZA, il network che rappresenta queste istanze e numerose parlamentari ed esperte, tornano a chiedere con forza la reintroduzione dellarticolo 46 bis nel testo legislativo e un dialogo aperto con il Governo e il Parlamento su una materia fondamentale per crescita, equità e concorrenza, che si ispiri ai valori più alti e non si accontenti di standard qualitativi più bassi.

Hanno aderito allappello

Le Contemporanee
Rete per la Parità 
ASviS 
Base Italia
Fuori Quota
GammaDonna
Human Foundation
Se Non Ora Quando – Libere
Fondazione Soroptimist Club Roma 
Differenza Donna Aps
Assist – Associazione Nazionale Atlete Aps
One Billion Rising Italia 
Rebel Network aps
Associazione SconfiniAmo
Associazione l’Abbraccio del Mediterraneo
Family Smile 
Kyoto Club Italia
Human Rights international Corner 
Nuove Ri-Generazioni
Young Women Network
Associazione Acume
Associazione Blu Bramante 
A2030 Social Innovation Designers
UIL, Coordinatrice Pari Opportunità 
CGIL, Ufficio politiche di genere
EquALL
Women in Film, Television & Media Italia
Valore D

Saranno presenti alla Conferenza Stampa e prenderanno la parola

Marco Bentivogli, Base Italia 
Sabrina Bernardi, Rete Parita’ e SconfiniAmo
Elena Bonetti, Deputata Italia Viva
Susanna Camusso, Senatrice Partito Democratico
Andrea Catizone, avvocata, Family smile 
Mariolina Coppola, Le Contemporanee e imprenditrice
Annalisa Corrado, Kyoto Club Italia 
Beatrice Covassi, europarlamentare Partito Democratico
Benedetto Della Vedova, Deputato + Europa 
Chiara Gribaudo, Deputata del Partito Democratico – in collegamento 
Anna Maria Isastia, Fondazione Soroptimist Club Roma 
Marianna Madia, Deputata Partito Democratico
Riccardo Magi, Deputato +Europa 
Alessandra Maiorino, Movimento 5 stelle 
Marcella Mallen, Presidente ASviS
Valeria Manieri, Le Contemporanee
Giovanna Melandri, Human Foundation 
Antonio Nicita, Senatore Partito Democratico
Rosanna Oliva, Rete per la Parità
Arianna Pigini, Abbraccio del Mediterraneo 
Lia Quartapelle, Deputata Partito Democratico  – in collegamento
Debora Serracchiani, Deputata Partito Democratico

Fonte: Le Contemporanee

di Alessandra Casarico, Paola Profeta

“A woman’s world”: la rivista “Finance and Development” del Fmi dedica un numero al genere, e a quel che frena la leadership delle donne. Un’analisi dei meccanismi di selezione e altri fattori che spiegano perché “le brave ragazze non ottengono l’ufficio d’angolo”. Con qualche proposta per rimediare, da Wall street all’India

La presenza di gender gap nel mercato del lavoro è un fenomeno assai noto: minore partecipazione femminile, minori remunerazioni medie e difficoltà di accesso ai vertici delle aziende sono i principali segnali della mancanza di uguali opportunità tra uomini e donne. In alcuni paesi, l’Italia tra questi, meno del 50% delle donne partecipa al mercato del lavoro. Anche nei paesi in cui la presenza femminile è maggiore, poche sono le donne che raggiungono la “C-suite”, ossia le posizioni di amministratore delegato, direttore generale o direttore finanziario. Secondo i dati di Fang riportati nel Magazine, nel 2011 solo l’8% dei direttori finanziari e l’1,5% degli amministratori delegati di imprese americane di grandi dimensioni era donna. Secondo i dati della Commissione Europea, nelle principali società quotate europee solo il 5% dei Presidenti e il 16% dei membri dei CDA è donna (European Commission, Women and men in decision making, 2012).

Le donne non ci sono perché non vogliono esserci o c’è altro? La risposta che Fang offre è che “le brave ragazze non ottengono l’ufficio d’angolo” non perché non chiedono, ma perché i criteri con cui sono valutate per le promozioni sono diversi da quelli applicati per gli uomini. Prendiamo come campione gli analisti finanziari di Wall Street: ambiente altamente competitivo, in cui le donne sono circa il 20% del totale e in cui il network di relazioni è cruciale per avanzare di carriera. Le analiste donne hanno mediamente un’istruzione di maggiore qualità (più frequentemente hanno una laurea nelle Università della Ivy League), sono “connesse” alle aziende che devono valutare tanto quanto lo sono i colleghi maschi e hanno la stessa probabilità di ottenere lo status di “all star”, prestigioso riconoscimento attribuito dalla rivista “Institutional Investors”. Ma lo studio dei fattori che consentono alle donne e agli uomini di raggiungere questo riconoscimento rivela un’asimmetria di genere: per le donne l’istruzione e l’accuratezza nelle previsioni sono le determinanti principali; per gli uomini sono i contatti l’elemento cruciale.

Studiare i meccanismi di selezione è essenziale per comprendere perché poche donne arrivino nella C-Suite, nei consigli di amministrazione o in altre posizioni di vertice. Occorre verificare che la selezione sia il più possibile “gender neutral”. Se per esempio sono sempre uomini a selezionare, è probabile che, anche involontariamente, premino qualità “maschili” e applichino stereotipi verso la leadership femminile. La mancanza di donne nelle posizioni di comando e di selezione, a sua volta, può rafforzare gli stereotipi. Gli studi di Pande, Topalova e coautori discussi nel Magazine fanno luce sugli effetti degli stereotipi e propongono politiche efficaci per superarli: gli stereotipi di genere non consentono di riconoscere competenza nelle donne, ma quando si sperimenta la leadership femminile, le convinzioni sulle capacità delle donne mutano radicalmente, e in positivo.

Questo cambiamento ne genera di ulteriori sulla fiducia delle ragazze e sul livello delle loro aspirazioni. Per approfondire questo risultato spostiamoci da Wall Street all’India; dall’economia alla politica: nel 1993 l’India, allo scopo di aumentare la presenza femminile in politica, introduce una modifica costituzionale e riserva alle donne un terzo dei seggi in ogni amministrazione locale. Inoltre, nel West Bengal, regione su cui si concentra l’analisi, un terzo delle amministrazioni locali in ogni elezione viene casualmente selezionata per una leadership femminile, ossia per attribuire la posizione di consigliere capo –pradhan- ad una donna. Poiché i villaggi che hanno una leader donna sono selezionati casualmente, non ci dovrebbe essere nessuna differenza osservabile tra villaggi riservati o non riservati ad un pradhan donna, il che consente ai ricercatori di individuare un effetto causale dello “sperimentare un capo donna”. La percezione dei votanti sull’efficacia della leadership femminile è completamente diversa nei due gruppi di villaggi: gli elettori che sono stati “esposti” al capo consigliere donna per un periodo sufficientemente prolungato pensano che le donne siano dei leader competenti, a differenza degli abitanti dei villaggi che non hanno avuto questa esperienza.

Ciò che è ancora più interessante è che la presenza di donne in posizione di leadership ha modificato le aspettative e le aspirazioni dei genitori per le loro figlie (senza ridurre quelle per i loro figli) e delle figlie stesse per il loro futuro. Il cambiamento nelle aspirazioni si è poi tradotto in una riduzione del gap in termini di istruzione, generalmente a favore dei ragazzi, e dell’asimmetria nella ripartizione dei compiti domestici, in cui tipicamente le ragazze sono maggiormente coinvolte.

In India la scelta politica di avere donne leader è stata un catalizzatore di cambiamento. Secondo nostri studi (Baltrunaite, Bello, Casarico e Profeta, 2012), le quote di rappresentanza di genere, che sono state in vigore in Italia tra il 1993 e il 1995 per le elezioni comunali, hanno aumentato la qualità media dei politici eletti nelle amministrazioni locali. La legge Golfo-Mosca ha recentemente introdotto l’obbligo temporaneo di rispettare quote di rappresentanza di genere (il 20% per il primo mandato e il 33% per i successivi due) nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società quotate e delle società a controllo pubblico. L’Italia, tradizionalmente in una posizione di retroguardia, sta recuperando terreno nelle classifiche internazionali.

La presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate è passata dal 7,23% del giugno 2011 all’11,16% del gennaio 2013. Fino al 2006 eravamo sotto il 5% e l’evoluzione era lentissima. Ancora più rivoluzionario si prevede l’impatto sulle società a controllo pubblico, che in Italia sono molto più numerose delle quotate. Ma la vera rivoluzione accadrà se questa legge sarà il nostro catalizzatore di cambiamento della cultura di genere. E’ quello che ci auguriamo.


Visualizza l’articolo originale su: http://www.ingenere.it/articoli/pi-donne-al-potere-migliorare-il-mondo


L’effetto-crisi sui differenziali di genere non è uguale per tutti. Se si guarda alle retribuzioni, l’Italia va controcorrente: mentre in tutt’Europa il gap salariale di genere è sceso, da noi è aumentato. Per l’arrivo di nuove occupate che guadagnano poco, e la precarizzazione delle giovani donne più istruite

Questa crisi ha ridotto le distanze tra donne e uomini nel mondo del lavoro, ma al ribasso e, secondo i dati europei, meno in Italia che in Europa. Il “meno” del nostro paese riguarda in particolare le differenze di salario per ora lavorata certificate dai dati europei. Nella media dell’Unione lo scarto percentuale del salario femminile rispetto a quello maschile – il “gender pay gap” per dirlo in inglese – era sceso di circa un punto percentuale nel 2011 rispetto al valore stimato nell’anno di inizio della crisi (16,2 percento contro il 17,3 nel 2008). L’andamento rilevato per l’Unione europea nel suo insieme è il risultato di una riduzione in 16 paesi mentre nei rimanenti paesi – Italia inclusa – il differenziale è rimasto stabile, è salito, o non si conosce il dato. Il nostro paese è il terzo più “virtuoso” dell’Unione poiché da noi le donne guadagnano su base oraria “solo” il 5,8% in meno degli uomini; ma il dato italiano risulta in salita rispetto al 2008 quando si attestava al 4,9%.

Perché dunque questi andamenti di segno opposto in Europa e in Italia? E il chiudersi della forbice in Europa è destinato a durare, così come il suo riaprirsi in Italia? Le variazioni sono ancora di entità piuttosto modesta in termini assoluti, ma la crisi potrebbe avere innescato o alimentato tendenze su cui conviene indagare. Un primo pezzo di indagine ci viene offerto dal rapporto del network Enege sulle ripercussioni occupazionali e di welfare della crisi in atto, che riprendo e aggiorno in questa nota.

Leggi tutto in: http://www.ingenere.it/articoli/perch-italia-si-riapre-il-gender-pay-gap
Fonte: InGenere

L’INPS, con la circolare n. 48 del 28 marzo 2013, fornisce le istruzioni operative in merito modalità per richiedere l’erogazione dei benefici e dei voucher previsti dalla Legge n. 92 del 28 giugno 2012 nell’ambito degli interventi volti a favorire l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro e il sostegno alla genitorialità, attraverso l’introduzione di misure orientate a migliorare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e la condivisione dei compiti di cura dei figli.

La citata legge, in particolare, ha introdotto – all’art. 4, comma 24, lettera b) – in via sperimentale per il triennio 2013-2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità, e in alternativa al congedo parentale, voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting, ovvero un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo obbligatorio, per un massimo di sei mesi.

I criteri di accesso e le modalità di utilizzo del contributo per l’acquisto di tali servizi – entro un limite di spesa di 20 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2013, 2014, 2015 – sono stati definiti dal Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze del 22 dicembre 2012.

Leggi la nota sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali