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Qui il programma e il comunicato stampa del convegno

Vedi lo streaming dell’evento anche su  Facebook,  sul sito dell’associazione della Stampa estera e sul sito di DonneinQuota

Qui il il servizio a cura di RETESOLE TGLazio: “Donne e divulgazione: un problema serio”

Per approfondire:

Intervento Michele Petrucci – Presidente Co.Re.Com. Lazio

Intervento Linda Laura Sabbadini

Intervento Marianna Sala – Presidente Co.Re.Com Lombardia

Online l’e-book con gli atti del precedente convegno

CambieRAI per non cambiare mai? Donne vere in tv

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Online l’e-book

CambieRAI per non cambiare mai? Donne vere in tv

Atti del convegno

A cura di Donatella Martini e Rosanna Oliva de Conciliis

Elaborazione grafica di Francesco Atanasio Carolei

L’e-book è disponibile su Amazon.it

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Due semplici modi per leggere l’e-book 


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Dall’8 marzo 2018 è in vigore il nuovo contratto che regolamenta il servizio pubblico radiotelevisivo e digitale. Rete per la Parità insieme con DonneInQuota ha proposto e ottenuto importanti integrazioni riguardanti l’immagine delle donne e non solo. Per approfondimenti rimandiamo alla nuova sezione in costruzione dedicata a Donne e media.

Lunedì 23 gennaio – ore 9.30-18.00, presso la Camera dei Deputati, sala Aldo Moro, si terrà il convegno CambieRai per non cambiare mai? Donne vere in TV  promosso da DonneinQuota e Rete per la Parità a continuazione del lavoro pluriennale svolto a tutela dell’immagine delle donne nei media, in particolare all’intero degli spazi pubblicitari e nella televisione pubblica nazionale.

 

Per l’ingresso alla sala, che ha una capienza di posti limitata, è necessario inviare la conferma della partecipazione entro giovedì 19 gennaio a segreteria.reteperlaparita@gmail.com.
Occorrerà inoltre esibire un documento d’identità e gli uomini dovranno indossare la giacca.

Qui il Link al programma del convegno.

 

Vi aspettiamo!

 

PROSSIMI EVENTI

E’ attualmente in corso il progetto “La Partecipazione delle Donne Libiche al Processo di Pacificazione e Ricostruzione del Paese”, che, attraverso il Seminario di Siracusa e il successivo di Roma, ha la finalità di chiarire, delineare e definire le azioni e il ruolo che le donne libiche, parlamentari e rappresentanti di associazioni e forum della società civile, intendono assumere e svolgere nel percorso di riconciliazione nazionale.
Si allega qui di seguito la locandina con il programma di Siracusa del 15 e 16 aprile presso la sede ISISC.

Il 21 aprile si terrà presso la Casa dell’Aviatore  la conferenza-concerto “Donna Musica. L’iniziativa è promossa dal CNDI Consiglio Nazionale Donne Italiane Coordinamento regionale Lazio in collaborazione con Zonta Club Roma 2, Ass. Cult. ANORA e Lab. “Oltre le note”. Per i dettagli sull’evento si rimanda alla locandina.

Dal 22 al 24 aprile 2016 presso la Casa Internazionale delle Donne avrà luogo la rassegna: “Femme Sauvage – Femme Sensuelle”. L’inaugurazione della rassegna da parte dell’associazione culturale Spazio Mecenate avrà luogo il 21 aprile alle ore 18.30.
Per maggiori informazioni sulle singole giornate e iniziative si rimanda alla locandina.

Segnaliamo inoltre il progetto in progress “1946: il voto delle donne” ideato e curato dall’Associazione Il Paese delle Donne con il Laboratorio antidiscriminazione (LAD) Università di Cassino e Lazio Meridionale, Consigliera parità della provincia di Frosinone, Federazione Italiana Laureate e Diplomate Istituti Superiori (FILDIS), Casa internazionale delle donne, Unione Donne in Italia (UDI), la Wilpf-Italia, il CIF e il CNDI. L’iniziativa celebra i 70 anni dal voto alle donne in Italia, dando una voce e un volto alle donne che per prime esercitarono, o no, quel diritto essendo maggiorenni.
Per ulteriori dettagli sul progetto si rimanda al link.

PUBBLICAZIONI

E’ possibile consultare l’e-book “Organismi di parità. Il punto di oggi e lo sguardo sul futuro possibile” attraverso il sito di NOIDONNE (www.noidonne.org) al link seguente.

E’ in rete il primo numero 2016 della rivista online “Giudicedonna”. Qui il link al sito.

 

 

Policy aziendale in materia di genere

La presidente della RAI Anna Maria Tarantola ha inviato alla Rete per la Parità la notizia di una iniziativa che la Rai ha adottato per la valorizzazione della donna e l’affermazione della sua dignità.

Ecco una parte della comunicazione:
“Si tratta di una policy di genere che la Rai ha ritenuto di adottare autonomamente; Rai è così il primo Servizio Pubblico europeo che recepisce formalmente le raccomandazioni formulate dal Consiglio d’Europa ai media con riferimento alla corretta rappresentazione della figura femminile, all’equilibrio di genere nonché alla prevenzione e alla lotta contro la violenza nei confronti delle donne.
Ritengo che anche questo sia un modo per perseguire con responsabilità la missione di Servizio Pubblico.

Cordialmente,
Anna Maria Tarantola”

Commento della redazione : “se son rose fioriranno”
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Il destino toccato al corpo e alla sessualità femminile all’interno del rapporto di potere tra i sessi, tra sessualità e amore, mercato e vita intima
Il corpo delle donne: perché da mezzo di rivendicazione è diventato merce in saldo?
di Lea Melandri

Negli ultimi giorni il problema della prostituzione è tornato al centro dell’interesse pubblico: in Francia con la proposta di legge sul modello svedese che prevede per il cliente una multa di 1500 euro, in Italia per la vicenda delle due liceali che si prostituivano in lussuosi appartamenti romani. Gli interrogativi sono sempre gli stessi, così come la contrapposizione tra chi vorrebbe abolirla e chi vorrebbe fosse considerata un lavoro come gli altri. La novità, caso mai, è quella a cui è dedicato l’interessante studio di Giorgia Serughetti – Uomini che pagano le donne (edizioni Ediesse 2013)-, “la nascita di una questione relativa agli uomini clienti”, il bisogno di comprendere “i modelli di mascolinità nuovi o tradizionali che la alimentano”.

Provo ad elencare alcune delle domande ricorrenti:

  • la prostituzione è un lavoro come un altro, per cui va regolato (diritti, doveri, ecc.)? Non è la soluzione –dicono alcuni- ma una “riduzione del danno”, una misura che restituendo dignità a chi la pratica combatte la discriminazione e lo stigma;
  • escludendo la “tratta” nelle sue forme estreme di schiavitù, quanto si può parlare di libertà di scelta? Quanto incidono le leggi nel prevenire e combattere il fenomeno?
  • che rapporto c’è con altre forme di violenza che le donne subiscono (stupri, maltrattamenti, omicidi in ambito domestico)?
  • La tendenza generale -a cui non sfugge neanche l’opinione di una “vecchia femminista degli anni Settanta”, come Elisabeth Badinter- è di collocare il fenomeno su due versanti opposti: da un lato, sfruttamento, racket, business, dall’altro, lavoro, libertà delle donne di “disporre consapevolmente e senza costrizioni del proprio corpo”.
  • Come sempre, l’urgenza di dare risposte, promuovere interventi all’apparenza concreti e rassicuranti per i cittadini, impedisce di riportare il problema alla sua radice storica e culturale: il destino toccato al corpo e alla sessualità femminile all’interno del rapporto di potere tra i sessi, le forme con cui si ripresenta oggi l’immaginario maschile di fronte ai cambiamenti avvenuti sulla linea di confine tra privato e pubblico, tra sessualità e amore, mercato e vita intima.

«Lo scambio sesso-economico – scrive Paola Tabet (La grande beffa, Rubbettino 2004)- è un aspetto dei rapporti tra uomini e donne assai più esteso e generale, e quindi non riducibile alla prostituzione». La linea di continuità che in ogni tempo e in ogni cultura ha visto le donne scambiare sessualità con denaro, doni, mantenimento, dentro e fuori il matrimonio, è oggi del tutto evidente in quello che si può considerare un “contesto prostituzionale allargato”. A descriverlo è Giogia Serughetti: «Tra intimità e attività economiche esiste un continuum anziché una dicotomia. Il riferimento è alle molte figure che offrono servizi di cura retribuiti –colf, baby sitter- ma anche surrogati a pagamento dell’intimità sessuale e delle relazioni romantiche. Sono la esperienza di ‘fidanzate a noleggio’, sotto la dicitura di accompagnatrici, sono escort e top escort. Si tratta di servizi che non si limitano al soddisfacimento di impulsi o fantasie sessuali, ma offrono parvenza di un corteggiamento, di un rapporto di cura affettivo e sentimentale».

Possiamo parlare di interni postdomestici ridisegnati dal mercato in modo tale che la domesticità coniugale vi si rifletta depurandosi però al tempo stesso da ogni vincolo o onere relazionale (…) Le trasformazioni in corso sul mercato del sesso paiono dunque funzionali alla conservazione e all’esercizio di un potere maschile imperniato sull’accesso ai corpi delle donne, o più propriamente alla loro disponibilità, complicità e cura affettiva”. “Sulle pareti urbane troneggiano corpi femminili rappresentati con gli stilemi un un linguaggio che richiama l’esplicita offerta di servizi sessuali. Il piacere maschile resta quindi un principio organizzatore degli spazi del consumo.”
Il corto circuito tra casa- scuola- appartamento dove si fa della vendita del proprio corpo un’impresa redditizia, colpisce ovviamente di più quando le protagoniste sono ragazze giovani, non condizionate dal bisogno economico. Ma il rischio è che sia paradossalmente meno inquietante dire che si è di fronte a un’azione delittuosa –quale è lo sfruttamento della prostituzione minorile- che non chiedersi in quale ambiguità stiano precipitando le relazioni tra uomini e donne, attraversate da residui di antiche schiavitù e prospettive di libertà finora sconosciute, da condizionamenti che vengono da lontano, e di cui si ha scarsa consapevolezza, e spinte a gettarsi il passato alle spalle, come si fa con le mode e con le infinite sollecitazioni del consumo.

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Dal sito della Camera
http://presidente.camera.it/5?evento=152&intervento=152

Convegno sul tema ‘La violenza sulle donne è un’emergenza. L’immagine e il potere. Istituzioni e media verso il cambiamento’ – Milano, Aula Magna Camera del Lavoro

Buongiorno a tutte e a tutti. Vorrei ringraziare innanzitutto gli organizzatori e le organizzatrici di questo importante incontro:la Camera del Lavoro di Milano, la Cgil,le associazioni di donne milanesi che hanno portato qui stamattina un lavoro di anni. Venerdì e sabato scorsi sono stata in Calabria: per portare il mio sostegno alle sindache in lotta contro la ‘ndrangheta, agli imprenditori che vivono sotto scorta, e per ricordare – in mezzo a centinaia di giovanissimi “nuovi italiani” – che il nostro Paese è pronto per fare un passo avanti sul riconoscimento della cittadinanza. Ve ne parlo perché durante la visita ho vissuto uno dei momenti per me più difficili di questi primi mesi da Presidente.

È stato quando, nell’ufficio della sindaca di Rosarno, ho potuto incontrare i genitori di Fabiana Luzzi, la ragazza non ancora sedicenne bruciata viva da un suo quasi-coetaneo a Corigliano Calabro, alla fine di maggio. Quelli della sua uccisione erano i giorni e le ore in cui la Camera stava ratificando all’unanimità la Convenzione di Istanbul: a Fabiana molti deputati e deputate avevano dedicato il loro intervento, e l’aula si era fermata per ricordarla.

Trovarsi a parlare coi suoi genitori è stato aver di fronte e sentire lo strazio più grande che a un essere umano possa essere dato di vivere. Ripenso alla domanda che mi ha fatto la madre, mentre riponeva le bellissime foto di Fabiana che mi aveva appena mostrato: “Mi dica, Presidente: ma come si può portare una figlia in una borsa?”

Vorrei che tenessimo bene a mente – soprattutto noi delle istituzioni – quel dolore, quando sentiamo i dati sul femminicidio. Già 60 sono state le donne uccise dall’inizio dell’anno nel nostro Paese. Una strage – di questo si tratta – che prosegue inesorabile, metodica, indisturbata: il rapporto Eures dice che tra il 2000 e il 2011 i femminicidi in Italia sono stati 2061, su un totale di 7440 omicidi. E di questi 2061, ben 1459 sono stati quelli maturati in ambito familiare. Un'”emergenza”, se con questa parola si intende un fenomeno gravissimo;ma non se si intende qualcosa di inaspettato, imprevedibile, perché gran parte dele donne uccise aveva già fatto una denuncia. Donne uccise in quanto donne, perché la loro autonomia è stata ritenuta insopportabile da mariti, compagni, fidanzati, ex-fidanzati.

Di questo parliamo, quando parliamo di femminicidio. Una parola nuova, per esprimere una nuova consapevolezza. Lo ha detto qualche settimana fa sul suo sito l’Accademia della Crusca, rispondendo a chi chiedeva se avesse senso sottolineare nel linguaggio il sesso di una vittima. Il fatto è – scrive l’Accademia – che alla base di questi delitti “c’è la concezione condivisa della “femmina” come un nulla sociale. Insomma non si tratta dell’omicidio di una persona di sesso femminile, a cui possono essere riconosciute aggravanti individuali, ma di un delitto che trova i suoi profondi motivi in una cultura dura a rinnovarsi e in istituzioni che ancora la rispecchiano, almeno in parte”.
La cultura e le istituzioni: questi i due piani di azione sui quali dobbiamo muoverci. Quello culturale e sociale, e poi quello normativo e istituzionale. A me, nella responsabilità che da quattro mesi esercito, compete soprattutto occuparmi del secondo livello. Ma so bene che nessuna nuova norma ha senso se non cammina insieme ad un profondo cambiamento del nostro modo di pensare, parlare, guardare.

Parto da qui, dunque, dal livello culturale. Perché il rispetto della donna è un fatto che passa anche dall’uso della lingua e dell’immagine. Faccio appena un accenno all’uso sessista della lingua. Ogni volta che si deve offendere una donna è immancabile il riferimento ai presunti comportamenti sessuali della stessa. Qualunque sia il ceto sociale di appartenenza, qualunque sia il grado di istruzione, qualunque sia la natura della discussione, l’uomo (anche giovane, purtroppo) di norma non ribatte sullo stesso terreno, ma sposta il piano su quello dell’offesa sessuale. Non è solo una mia constatazione. È la Corte di cassazione che lo afferma, in una sentenza dello scorso mese di gennaio. L’ho menzionata perché “porre le donne in condizione di marginalità e minorità” – come dice la sentenza – è uno degli effetti che ha ottenuto e ottiene parte della comunicazione.

Il gioco lo abbiamo capito e svelato. La denuncia fatta riguardo all’uso offensivo del “corpo delle donne” (cito anche io il video di Lorella Zanardo) è stata uno dei segni di risveglio più potenti arrivati dalla società italiana di questi anni. La denuncia di uno stereotipo di donna del tutto irrealistico e regressivo, esasperato nelle sue caratteristiche femminili, persino modificato con le più sofisticate tecnologie di ritocco dell’immagine, per cui talvolta capita – con effetti involontariamente paradossali – che le proporzioni del corpo siano totalmente innaturali. Un corpo che diventa un oggetto di visione, decorativo, allusivo e ammiccante, mercificato e degradato.
“Sii bella e stai zitta”, come dice il titolo di un libro della filosofa Michela Marzano, deputata in questa legislatura. Un oggetto – non un soggetto – al pari dei prodotti di cui promuove la vendita. Torno a sottolinearlo, come ho già fatto in questi mesi: è una nostra negativa anomalia, questa deformazione pubblicitaria della donna. In giro per l’Europa non è abituale usare donne seminude per vendere yogurt, televisori, valige.

Così come sarebbe difficile vedere in onda uno spot in cui papà e bambini stanno seduti a tavola, mentre la mamma in piedi serve tutti.

Per chi giustamente si preoccupa dell’immagine internazionale dell’Italia, queste immagini sono un problema. Come donne lo sappiamo. Ma la soluzione non si troverà finché saranno solo le donne a discuterne; finché non si comprenderà che il problema della sottorappresentazione e della rappresentazione offensiva della donna ha una dimensione maschile – di educazione al rispetto – che riguarda in primo luogo gli uomini. Questa rappresentazione regressiva della donna, infatti, è un ostacolo alla complessiva maturazione della società, specialmente nella sua componente maschile, a sua volta prigioniera di immagini e modelli del tutto irrealistici. Ed è anche nello scarto tra questi stereotipi e la carenza di strumenti culturali per elaborare una realtà quotidiana spesso difficile, che si annidano i germi del rancore e della violenza.

Come uscirne, come concorrere a produrre una nuova cultura? Innanzitutto nel dialogo tra i diversi soggetti coinvolti, come state facendo con l’iniziativa di oggi. Mettere a confronto con le voci della società civile le donne e gli uomini che creano pubblicità e fanno televisione, e tra i quali si stanno facendo strada – come abbiamo sentito anche stamattina – le domande che tante donne hanno posto da anni. Lo ricordava qualche giorno fa, proprio qui a Milano, Annamaria Testa all’Assemblea annuale dell’UPA (Utenti pubblicità associati, l’organismo che riunisce le più importanti aziende che investono in pubblicità): «educare non è compito della pubblicità. Devono farlo le famiglie, la scuola, le istituzioni. Ma – aggiungeva – la pubblicità può e oggi forse dovrebbe dare una mano, proprio perché è così efficace».

E per aiutarci a rappresentare più fedelmente l’universo femminile può fare moltissimo anche la tv, in un Paese in cui la televisione costituisce ancora la prima fonte di informazione e intrattenimento per la gran parte dei cittadini. In particolare la televisione di servizio pubblico, il cui pluralismo non può essere soltanto quello (pur essenziale) della equilibrata presenza delle forze politiche. C’è una par condicio che viene violata assai più frequentemente, ed è quella tra i generi e la loro rappresentazione. Qualche segnale importante però sta arrivando: penso alla decisione della Rai di rinunciare quest’anno a Miss Italia, per la quale ho già espresso il mio apprezzamento alla Presidente Tarantola. Qualcuno si è lamentato di questa scelta,come se si trattasse dell’imposizione di un clima di austerità cupa e bacchettona.

Io credo invece che ci si debba rallegrare di una scelta moderna e civile, e spero che le ragazze italiane possano avere, per farsi apprezzare, altre possibilità (anche televisive) che non quella di sfilare numerate. E mi auguro che il servizio pubblico sappia trovare anche forme di collaborazione con la scuola italiana proprio sul tema che oggi stiamo affrontando. Perché c’è bisogno di far crescere i nostri ragazzi anche nella capacità di decifrare i messaggi dei media, di “smontare” gli spot e i programmi dei quali sono intensi consumatori. C’è bisogno di ragionare insieme a loro sul modello di donna-oggetto che dallo schermo insistentemente viene proposto. Anche per questa via si può insegnar loro il rispetto delle coetanee ed evitare che diventino adulti violenti. Perché, se la donna viene resa oggetto, da lì alla violenza il passo è breve.

L’altro piano di intervento è il piano normativo e istituzionale, ed è quello sul quale, come Presidente della Camera, sono chiamata all’impegno più diretto.

Con la ratifica della Convenzione di Istanbul sulla violenza domestica un primo importantissimo passo è già stato mosso. Ora bisogna costruire un quadro giuridico coerente, partendo dalla conoscenza e dalla diffusione delle regole che già esistono.

In primo luogo, le regole europee. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta qualunque forma di discriminazione fondata in particolare sul sesso. In modo più diretto era intervenuta, già nel 1989, la c.d. direttiva “Televisione senza frontiere”, poi rafforzata da una direttiva successiva. E ancora più esplicita è la risoluzione approvata dal Parlamento europeo nel 2008 e interamente dedicata all’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra uomini e donne. “La pubblicità e il marketing riflettono la cultura e contribuiscono altresì a crearla”, dice l’Europarlamento, e chiede perciò codici di condotta che proibiscano messaggi discriminatori o degradanti basati sugli stereotipi di genere. L’Europa ci chiede anche questo, non soltanto di essere in regola coi parametri finanziari.

In Italia mancano ad oggi leggi specifiche, nonostante la Costituzione offra, in più articoli, un solido ancoraggio all’intervento del legislatore a tutela dell’immagine e della dignità della donna. L’unica norma statale alla quale è possibile fare attualmente riferimento si trova nel Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici. Tra i suoi principi generali c’è quello per cui le pubblicità non devono pregiudicare il rispetto della dignità umana e non devono contenere discriminazioni fondate sul sesso. Su tali principi, come è noto, è chiamata a vigilare l’Autorità garante per le comunicazioni.

E’ chiaro che, in assenza di una legge, ci sono stati interventi di supplenza. Un esempio è il Codice di Autodisciplina della Comunicazione commerciale, promosso dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che ha recepito i contenuti della risoluzione del Parlamento europeo del 2008. Non mancano, d’altro canto, esempi di buone pratiche da parte degli enti locali. Cito per tutti la legge del 2009 della Toscana sulla “Cittadinanza di genere”, con la quale la Regione intende attivarsi anche per eliminare gli stereotipi. E decisamente significative sono le esperienze maturate a livello comunale. Ho sentito e apprezzato il gran lavoro che proprio qui a Milano avete fatto, e che due settimane fa ha portato la Giunta di Palazzo Marino ad approvare le nuove regole per la valutazione dei messaggi da affiggere sugli spazi in carico all’Amministrazione comunale.

Questi provvedimenti hanno una valenza particolarmente importante, perché sono il frutto di un rinnovato impegno da parte delle donne, che tornano ad essere protagoniste. Non è censura moralistica, come qualcuno ha tentato e tenterà di affermare, ma è una battaglia per la libertà e l’inviolabilità della persona.

E sono importanti anche perché sollecitano il Parlamento ad adottare una legislazione condivisa. Il tempo è maturo per pensare ad una legge basata sui princìpi forti espressi dalla nostra Costituzione e dal diritto europeo. Ad oggi sono state già presentate alla Camera due proposte di legge (sulla pubblicità ingannevole che altera l’apparenza fisica e sulla tutela della dignità della donna nella pubblicità e nella comunicazione). Analoghe iniziative sono state presentate al Senato. Spero, anzi credo, che un Parlamento composto in larga parte da giovani,e con una rappresentanza femminile decisamente più significativa rispetto al passato, vorrà farsi carico di mettere il tema in agenda e di fare un altro passo in avanti nella tutela della dignità delle donne.

Lo dobbiamo a Fabiana, lo dobbiamo alle tante donne che non ci sono più, lo dobbiamo a noi stesse.

Interrogazione urgente di Monica Cirinnà per il rispetto della “par condicio di genere”.

Presentata il 22 maggio un’interrogazione urgente da parte della senatrice Monica Cirinnà per ottenere il rispetto della par condicio di genere, secondo le richieste dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria, Interrogazione n3-00076-parità di genere in tv, con la collaborazione della Rete per la Parità e dell’avv. Antonella Anselmo, che sin dall’inizio e costantemente in ogni tappa ci ha affiancato per la parte tecnica.

La campagna elettorale è agli sgoccioli, ma c’è ancora qualche settimana per i comuni in cui si andrà al ballottaggio e per quelli siciliani.

La par condicio di genere, introdotta dalla legge 215 del 2012 (più conosciuta per la grande novità della doppia preferenza di genere nelle elezioni amministrative), va rispettata nella comunicazione politica anche quando non sono in corso campagne elettorali.

Soprattutto stiamo cercando di creare le premesse perché le resistenze verso queste nuove norme non si ripetano in occasione delle future scadenze elettorali.

Ecco il comunicato di Monica Cirinnà:PAR CONDICIO: CIRINNA’, VIOLATA PARITA’ DI GENERE, INTERVENGA GOVERNO E AGCOM

“Ministri competenti e l’Agcom facciano rispettare la par condicio della presenza di genere nelle trasmissioni televisive”. A chiederlo è la senatrice del Pd Monica Cirinnà con un’interrogazione al ministro dello Sviluppo economico e a quello delle Pari opportunità.

Nonostante la legge preveda la possibilità nelle elezioni locali di esprimere la doppia preferenza di genere – spiega – persiste nelle trasmissioni di approfondimento politico, televisive e radiofoniche, la pratica scorretta di far partecipare ai dibattiti un numero esiguo di donne. Una palese violazione della par condicio di genere che si registra anche nei maggiori talk show politici delle emittenti pubbliche e private”.

“Ricordo – aggiunge – che dal 26 dicembre del 2012, i mezzi di informazione sono tenuti, senza eccezione di sorta, al rispetto dei principi di cui all’articolo 51, primo comma, della Costituzione, per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini. Un impegno che non è stato rispettato ove l’AGCOM, nonostante il chiaro disposto legislativo, ha continuato ad ignorarne le palesi violazioni nonostante siano in corso le campagne elettorali per l’elezione diretta dei Sindaci e dei Consigli Comunali nonché dei Consigli Circoscrizionali”.

“E’ necessario inoltre – sottolinea – che la RAI in ottemperanza al contratto di servizio, pur in assenza di specifico regolamento emanato dal Parlamento, assicuri comunque un’equilibrata rappresentanza di genere tra le presenze e pubblichi i dati di genere sul sito raiparlamento.it, rendendo consultabili sia i risultati quotidiani del monitoraggio che quelli settimanali”.

“E’ indispensabile – conclude Cirinnà – un intervento tempestivo dei ministri interessati e dell’Agcom affinchè il sistema dell’emittenza radiofonica e televisiva, pubblica e privata, rispettino i principi fondamentali della par condicio, anche nella rappresentanza di genere”.

Allegato Interrogazione in pdf

I programmi in prima serata quasi senza donne mentre nei Tg Rai 9 presenze su 10 sono maschili. E l’Agcom le dimentica nel Regolamento.

di Flavia Amabile

Tutti conoscono la «par condicio» politica, quella che impone un eguale trattamento tra i partiti nelle loro presenze in tv in modo da evitare differenze troppo marcate nella loro visibilità. Da quest’anno è obbligatoria anche la «par condicio di genere», e quindi è necessario garantire pari opportunità nei programmi televisivi tra donne e uomini. È l’effetto di una modifica della legge storica sulla «par condicio» del 2000, entrata in vigore il 26 dicembre scorso.

Complice le vacanze di Natale, o chissà che altro, la modifica non era stata inserita nel Regolamento applicativo diffuso il 4 gennaio dall’Agcom, l’Autorità per le Comunicazioni.

Sono dovuti passare undici giorni ed è stata necessaria una lettera di protesta per veder porre rimedio alla mancanza con una circolare che ricordava la nuova norma. Ci si sarebbe aspettati un adeguamento da parte delle emittenti televisive, la parità dietro lo schermo.

«Invece, nulla», denuncia Rosanna Oliva, presidente della Rete per la Parità e fondatrice di «Aspettare stanca», due delle 50 associazioni firmatarie dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria che hanno inviato la lettera di protesta all’Agcom e che stanno lavorando per ottenere «par condicio» nelle candidature e nei programmi televisivi.

E quando Rosanna Oliva dice «nulla», non è solo un modo di dire. Non solo era stata dimenticata la nuova norma ma non vengono nemmeno pubblicati i dati sulle presenze donne/uomini in tv, come sarebbe previsto. «Non abbiamo fatto in tempo – fanno sapere dall’Agcom – i dati saranno pubblicati tutti alla fine della campagna elettorale. E comunque l’obbligo non esiste».

Le associazioni di donne non sono d’accordo e anche su questo punto annunciano battaglia e pretenderanno la diffusione dei dati a partire almeno da febbraio. Finora, quindi, esiste un solo dato ufficiale sulle presenza di donne in tv in quest’inizio di campagna elettorale, arriva dall’Osservatorio di Pavia e si riferisce ai soli programmi della Rai. Agli uomini va il 96, 1% delle presenze durante i tg e il 76.8% durante i talk show. Dati decisamente desolanti.

Dalla rilevazione effettuata dalla Stampa sui principali programmi di approfondimento serale, da Porta a Porta a Ballarò e Servizio Pubblico risulta che, ad esempio, Bruno Vespa abbia realizzato sette puntate dal 12 al 21 gennaio con una sola donna ospite prima di ravvedersi e prevedere una serata di «mea culpa» con sole donne in studio. Italia Domanda, la trasmissione di Canale 5, trasmette tre puntate con soli uomini e alla quarta il 23 gennaio invita anche una donna, Linda Lanzillotta, insieme con cinque uomini. Servizio Pubblico di Michele Santoro fa informazione senza donne per le prime due puntate alla terza (non a caso il 24 gennaio) si adegua e invita due donne, Mara Carfagna e Lara Comi. A Ballarò, nelle tre puntate trasmesse, si salvano grazie alla presenza di economiste, sindacaliste e giornaliste, ma la presenza femminile politica in senso stretto è irrilevante.